La legge Stanca compie 20 anni


19 Febbraio 2024 Di Stefania Leone La legge Stanca compie 20 anni Il ventennale della legge 4 del 9 gennaio 2004, la nota Legge Stanca, […]

Due mani che sorreggono in alto una sfera, apparentemente senza sforzo. I colori, verde e viola, sono contrastanti ma funzionali, e riprendono sia il logo di Fed.Man, sia il fatto che la coadiuvandone di diversità può creare delle sinergie per trasformare le idee in soluzioni in ambito inclusivo (particolare della scultura

Di Stefania Leone

La legge Stanca compie 20 anni

Il ventennale della legge 4 del 9 gennaio 2004, la nota Legge Stanca, dal nome del firmatario Lucio Stanca, allora Ministro per l’innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale, ci invita a riflettere sullo stato dell’arte, a che punto siamo, cosa si è fatto e cosa si può fare.

Non possiamo affermare che si sia al punto di partenza, anche perché la legge è stata rafforzata dalla Direttiva UE Web Accessibility Directive WAD 2016/2102, che ha imposto di legiferare sul tema agli Stati Membri dell’Unione Europea, ma l’Italia era già stata la prima a farlo.

Inizialmente i 22 requisiti tecnici previsti per legge recepivano in parte le WCAG 1.0 e poi le WCAG 2.0, mentre ora la legge prevede che vengano recepite le linee guida standard nella versione vigente, 2.2 e successive.

Inoltre nel decreto attuativo e nelle successive modificazioni è stato ampliato il novero degli aventi obbligo ad ottemperare alle regole previste per legge e dunque, oltre alle Pubbliche Amministrazioni e agli enti pubblici presenti nell’elenco IPA, sono obbligate a rispettare l’accessibilità di siti web e app mobili anche gli enti privati che nel triennio abbiano superato un fatturato medio annuo di 500 milioni di Euro. Va notato positivamente inoltre che l’accessibilità è prevista anche nel Codice degli appalti, pertanto nei bandi pubblici di gara le aziende appaltatrici devono considerare l’accessibilità dei prodotti digitali che realizzano e consegnano.

La norma dunque riguarda una platea abbastanza ampia e molte sono le Best Practice di coloro che, pur non essendo obbligati per legge, valutano l’accessibilità come un’opportunità di crescita di clienti e quindi di aumento di mercato per i propri prodotti e servizi.

Ultimamente si parla di accessibilità in vari settori, come quello del turismo, della comunicazione, della mobilità, ma i problemi restano sempre a livello di base, ovvero sul come realizzare concretamente siti e app accessibili, di cui se ne sa poco o nulla. Le regole tecniche restano le stesse e basterebbe poca attenzione ad etichettare correttamente link e pulsanti, a non pubblicare pdf immagine e a mettere sottotitoli o audiodescrizioni laddove un file multimediale sia solo audio o solo video.

Diciamo che se ne parla, ma solo tra addetti ai lavori, mentre è importante che l’accessibilità esca dagli ambienti del mondo della disabilità in cui è nota. Dopo vent’anni manca ancora una vera e propria cultura sull’accessibilità, considerata solo come un problema, un obbligo, piuttosto che come un’opportunità conveniente per molti, anzi per tutti.

Negli ultimi anni una grande novità sono state le tecnologie mobili, e diverse app accessibili hanno di molto migliorato l’utilizzo dei servizi digitali, slegandoli dal singolo sito web, in quanto spesso la relativa app mobile risulta più snella e usabile ed offre la possibilità di evitare di affrontare i limiti di accessibilità del sito web ufficiale: ciò non è una giusta soluzione, ma è pur sempre un aspetto positivo.

Dal 2025 si avrà un’ulteriore virata verso l’accessibilità che andrà a rafforzare quanto previsto dalla legge Stanca, grazie alla Direttiva UE European Accessibility ACT, EAA, che prevede l’accessibilità dei prodotti e servizi immessi sul mercato europeo, tra cui bancomat, strumenti di pagamento digitale come i POS, macchine per l’emissione di Biglietti, sistemi operativi, computer, tablet e cellulari, elettrodomestici e molto altro. Questo comporterà un aumento di ricerca di informazioni su modalità di progettare prodotti e servizi accessibili e usabili da parte di tutte le aziende produttrici, ed è dunque necessaria una cabina di regia forte e vigile.

Ma come afferma anche Roberto Scano, uno dei massimi esperti in tema di accessibilità a livello nazionale e internazionale, “Tutti aspettano il 2025 ma gli obblighi di accessibilità e di non discriminazione esistono già con DLG S 216/2003 nel mondo del lavoro e con la legge 67/2006 per tutti gli altri ambiti.”. Manca un vero e proprio raccordo tra le competenze e le figure esperte nei vari settori dell’accessibilità, che non è più una caratteristica unica, ma va declinata a seconda del tipo di prodotto o servizio e del livello tecnico di progettazione, ovvero di hardware, di software, o di un puro utilizzo pratico. È semplice e condivisibile affermare che tutto debba essere prodotto secondo il principio dell’Universal Design, ma poi chi sa farlo veramente? Qualche tipologia di utenza specifica può sfuggire, e molte cose vanno progettate con esperti di ogni settore.

Manca l’insegnamento della materia a livello universitario, che ormai non riguarda soltanto Ingegneri e informatici, ma anche esperti di comunicazione, informazione, cultura, turismo, salute ecc. Pur essendo previsto dalle linee guida dell’Agenzia per l’Italia Digitale uno strumento per segnalare i problemi prima ad AgID e poi al Responsabile Civico Digitale, sono ancora poche le segnalazioni che pervengono, probabilmente perché i cittadini delegano al mondo associativo la rivendicazione dei propri diritti, o perché ritengono debole e poco efficace la procedura per la soluzione. Basterebbe anche solo far valere la legge antidiscriminazione presso un giudice e la sentenza farebbe giurisprudenza, ma su questo probabilmente si è un po’ pigri e dunque, piuttosto che imbarcarsi in procedure formali di reclamo, segnalazioni di inaccessibilità e denunce legali, si preferisce risolvere in maniera pratica i problemi legati alle tecnologie. Ciò è comprensibile, se si pensa che una persona con disabilità deve affrontare le complicazioni quotidiane e ordinarie legate alla disabilità, per cui ogni ulteriore impegno sia pure per far valere i propri diritti, richiede tempo, energie, competenze non sempre presenti contemporaneamente.

E allora?

Dovrebbe esserci una cabina di regia forte ed efficace, tra il Ministero per la Disabilità, il Mimit, il dipartimento Trasformazione Digitale e l’AgID, che sia preposta al monitoraggio e al controllo di prodotti e servizi e abbia forza sanzionatoria.  Anche le associazioni più rappresentative e i singoli cittadini dovrebbero fare da sentinella, ma come detto sopra, non sempre hanno le forze necessarie per portare avanti battaglie efficaci e risolutive.

In ambito lavorativo, un buon esempio utile all’affiancamento nella lotta sull’accessibilità degli strumenti di lavoro potrebbe essere il Disability Manager, responsabile certificato per l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità, ma si tratta di una figura professionale ancora poco nota, pur se obbligatoria in enti pubblici con più di 200 dipendenti. Tale figura potrebbe essere un punto di riferimento centrale tra l’azienda e i lavoratori con disabilità, nella soluzione di problemi di accessibilità degli strumenti di lavoro, che se restassero irrisolti porterebbero conseguenze negative sia individuali che collettive, come inattività e improduttività, peso economico per l’azienda e peso economico sociale. Fortunatamente Diverse macro imprese del settore privato hanno colto l’utilità delle competenze e dei suggerimenti di un Disability Manager esperto, in grado di fornire opportune soluzioni pratiche e tecniche per mettere in condizioni di lavorare anche le persone con disabilità; a volte basta veramente poco.

Altro aspetto previsto dalla legge Stanca è che l’AGID effettui monitoraggi triennali a campione, ma questi non bastano a risolvere le problematiche a breve termine, pur essendo di importanza fondamentale a livello statistico; invece, ciò che risulta molto utile ed è prevista per legge in caso di contratti di fornitura sopra una certa soglia, è la “Verifica soggettiva”: si tratta di un test da parte di un pull di persone con diverse disabilità, visiva, uditiva, intellettiva e fisica, che si effettua prima di consegnare un prodotto, con un report completo su cosa va bene e cosa va migliorato.

A tal proposito, dato che è necessario inventare nuovi lavori inclusivi, perché non pensare ad impiegare proprio in ambito di testing di accessibilità e usabilità le persone con disabilità?

 

Di Stefania Leone

Certificata Disability Manager
Informatico, esperta di accessibilità digitale
Segretario Generale ADV Associazione Disabili Visivi APS ETS
Membro della Giunta nazionale FISH- Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap

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